FRANCA BRIATORE “Arte forma gesto”

La Galleria d’Arte Arianna Sartori di Mantova, nella sede di via Cappello 17, dal 1° al 13 Giugno, presenta una mostra personale dell’artista Franca Briatore “arte-forma-gesto”.

La mostra, curata da Arianna Sartori, si compone di una decina di dipinti e altrettante sculture in ceramica e si inaugurerà Sabato 1° Giugno alle ore 17.30 alla presenza dell’artista.  La mostra si avvale di un testo critico della Dott.ssa Giorgia Cassini.

 Franca Briatore, Arte – Forma – Gesto

Olii, l’oeuvre sort plus belle d’une forme au travail rebelle, vers. marre, onyx, ómail.

Théophile Gautier, L’Art

Apprezzata pittrice e ceramista, portata ali’arte dal suo stesso temperamento appassionato. Franca Briatore contrassegna vitalisticamente ogni sua opera.

Nelle opere pittoriche ricerca innanzitutto l’espressione: un’espressione creata dalla distribuzione stessa dei colori. I mezzi pittorici di cui l’artista si vale divengono una realtà a sé stante che prende il posto della realtà sensibile, sostituendola appunto come fonte essenziale di “espressione”. Quadri in cui manifesta il colore in tonali composizioni popolate di scritte, di ritagli, di assonanze e dissonanze (cromatiche e lineari) a creare vibrazioni dinamiche e luminose, intelligente rimando alla corrente futurista a cui Briatore immette un nuovo personalissimo indirizzo artistico, poetico e letterario frutto delle sue ricerche e dell’apertura mentale tipica della sua natura di acuta sperimentatrice. I contrasti e le trasparenze luminose, i vortici rapidi e le zone improvvise di silenzio, tutto si organizza entro i Ricordi del passato o nel dittico La coppia perfetta con una libertà creatrice che origina invenzioni straordinarie di colori e di forme. In Crush ed in Food le forme si aprono e si compenetrano, i colori si accendono, i segni si susseguono in ritmi rapidi e incalzanti. In Bienvenue il dinamismo emotivo è volto in volontà più chiaramente costruttiva: il trittico è costantemente interessato alla compenetrazione delle relazioni fra l’oggetto osservato e il soggetto osservante. Di fatto l’inserzione di caratteri grafici, giustificata in un primo tempo dall’esigenza di restituire con maggiore concretezza un oggetto (un giornale – The New York Times, The Daily Telegraph, etc. – o un cartellone pubblicitario – Lanifìcio Luciani) si svincola nell’insieme da ogni criterio contenutistico per affermarsi come motivo valido in se stesso, capace anzi di accrescere la potenza espressiva del soggetto e di arricchirlo di un’intensa carica emozionale. Il fascinoso dipinto Riposo di donna dall’atmosfera vibrante, improntata ad una calda sensualità, è modello pittorico di grande fluidità che Briatore riesce con successo a trasferire in ceramica. Beato riposo rivela una stilizzazione cui si accompagna un abile gioco lineare: la curva del braccio è richiamata da quella della

gamba che si accavalla mentre il capo funge da baricentro nell’equilibrio dell’insieme. Ulteriormente noli’Atletico e in Osservando i e stelle, sfrutta le straordinarie possibilità lineari che offre un corpo umano appoggiato ad un supporto. I nudi maschili e femminili emergono dalla materia con la trionfante pienezza delle loro forme vigorose, la materia è viva e palpitante, il dinamismo mai dispiegato ma sempre potenziale è esempio di ritmica misura

Dott.ssa Gorgia Cassini

 Franca Briatore

Nata a Ceva, in provincia di Cuneo, albissolese d’adozione, inizia il suo percorso negli anni 90 dopo aver frequentato un corso di decoro su maiolica alla scuola di ceramica di Albisola.

Forma poi la sua tecnica pittorica nella bottega di pittori esperti dai quali apprende i segreti del mestiere.

Artista dalla sensibilità tipicamente femminile manifesta una creatività istintiva, il suo operare è contemporaneamente forma e contenuto, astrazione e concretezza.

Il percorso continua con sperimentazione e ricerca nel campo della ceramica con i maestri Cimatti e Caprile, infatti non si ferma alla decorazione ma predilige plasmare l’argilla, dove raggiunge forme più semplificate, stilizzate, meno ancorate alla realtà, avvicinandosi all’essenza della materia.

Per diversi anni ha diretto il laboratorio “l’Officina delle Impronte” esponendo le sue opere e tenendo corsi di modellato, raku e decorazione.

Ha insegnato nel contempo ceramica all’UNI 3 e alla scuola materna Guastavino di Varazze.

Dal 2011 si è trasferita col suo atelier d’Arte ad Albisola Superiore.

Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.

Mostre personali e collettive:

2003 – “Mediterraneo”, Trier, Germania, collettiva. Ginevra, Arte&Musica “Il Signore degli Anelli”, Castello Costa Del Carretto, Garlenda, collettiva.

2004 – Ginevra, Arte &Musica “Il Mito di Orfeo”, Castello Costa Del Carretto, Garlenda, collettiva.

2005 – “Prima Biennale d’Arte Contemporanea”, Palazzo Stella, Genova, Associazione Colturale Satura, collettiva. Ginevra, Arte & Musica “Ginevra in Bleus”, Castello Costa Del Carretto, Garlenda, collettiva. “Il meraviglioso, la libertà del sogno”, Palazzo Provincia, Savona, collettiva. Concorso Nazionale d’Arte Contemporanea, Palazzo Stella, Genova, Associazione Culturale Satura, collettiva. Mostra di presepi, Museo Etnografico della Val Varatela, Tirano, collettiva.

2006 – Rassegna Nazionale della Ceramica, Museo d’Arte  Contemporanea, Albissola  Marina, collettiva. “La Ceramica di Natale”, Galleria Circolo degli Artisti, Albissola Marina, collettiva.

2007 – “Frammenti”, Galleria Scola, Albenga, personale. “Forme Spezzate”, Villa Maria, Quiliano (Sv), personale. “Arte&Musica “Enigma”, Castello Costa del Carretto, Garlenda, collettiva. “Natale 2007”, Galleria Fondazione Garaventa, Genova, collettiva. “10 Pollici d’Arte”, Galleria Scola, Albenga, collettiva. “La Ceramica di Natale”, Galleria Circolo degli Artisti Pozzo Garitta, Albissola Marina, collettiva.

2008 – “Le Trame di Penelope tra Emozione e Ragione”, Sala Esposizione Palace, Spotorno, collettiva. “6a Rassegna della Ceramica”, Museo d’Arte Contemporanea, Albissola Marina. Festival Internazionale della Maiolica 2008, “Conche Bacini e Pignatte”, Sala Agenore Fabbri, Albisola Superiore, collettiva. “Tracce di Fumo”, Sala N.S. Assunta, Varazze, personale.

2009 – “Forme, Colore &…”, Circolo Degli Artisti Pozzo Garitta, Albissola Marina, personale. Festival Internazionale della Maiolica 2009, “Vasi e Brocche del Futurismo”, Sala Agenore Fabbri, Albisola Superiore, collettiva. “L’Animale Immaginario”, Galleria del Cavallo, Quiliano (Sv), collettiva.

2010 – Festival Internazionale della Maiolica 2010, “Inscapes”, Sala mostre della Provincia di Cuneo, personale.“La Ceramica di Natale”, Circolo degli Artisti, Pozzo Garitta, Albissola Marina, collettiva. Mostra del Presepe d’Arte, “Palazzo dell’Anziania a Campanassa”, Savona, collettiva.

2011 – “C’era una volta il 33 giri”, Circolo degli Artisti, Albissola Marina e della Fondazione Cento Fiori, Palazzo Ducale, Genova, collettiva. “Mostra del Presepe d’Arte”, Palazzo dell’Anziania a Campanassa, Savona, collettiva.

2012 – “Signs and Colours”, Fortezza del Priamar, Savona, personale. “54a Biennale di Venezia”, Padiglione Italia, Sala Nervi, Torino. “Les rencontres”, Palazzo Zenobio, Collegio Armeno, Venezia, collettiva. “Arte Genova 2012”, Galleria Del Cavallo, Genova. “Comequandofuoripiove”, Circolo degli Artisti, Albissola Marina e della Fondazione Cento Fiori, Palazzo Ducale, Genova, collettiva. “Work in Progress”, Pozzo Garitta 11, Comitato di Rigore Artistico, Albissola Marina, personale. “Linea di confine”, Galleria del Cavallo, Quiliano (Sv), personale.

2013 – Galleria Arianna Sartori, Mantova, personale.

PIER LUIGI GHIDINI “La metafora dell’essere”

La Galleria d’Arte Arianna Sartori di Mantova, nella sede di via Cappello 17, dal 18 al 30 maggio, presenta una nuova mostra personale dell’artista bresciano Pier Luigi Ghidini.  La mostra, curata da Arianna Sartori, si inaugurerà sabato 18 maggio alle ore 17.30 con presentazione in galleria della Prof.ssa Marta Mai alla presenza dell’artista.

La metafora dell’essere

Colori brillanti e ammalianti, linee precise sezionanti spazi, o armoniosamente attorcigliate in percorsi, paesaggi naturali ed ambienti trasformati dall’uomo in cui la natura s’intrufola, s’inerpica e sporge rinata e generosa, caratterizzano la produzione artistica di Pier Luigi Ghidini.

È abbondante, e ci viene incontro annunciando da subito un artista entusiasta, che contempla con compiacimento un mondo naturale in perpetuo movimento, che si trasforma e non degrada, che concede spazio all’uomo e a tutte le sue esigenze abitative e lavorative, ma non si lascia soverchiare e spunta là, dove meno te l’aspetti, là dove domina il cemento ed il mattone si congiunge al mattone in un’ascesa verticale, che, metaforicamente resa da scale, indica la sua presenza ovunque le costruzioni hanno coperto prati e colline, o hanno addentato la montagna per farsi largo e dilatarsi.

Tutte le opere di Pier Luigi Ghidini constatano che la forza vitale della natura è inalienabile e trova sempre il modo per proclamare la sua sovranità, e risorgere forte. E allora…, ecco l’albero che cresce sul tetto, il fiore, che, gigantesco, pencola da una feritoia, ecco mille variopinte corolle, che si ammassano dove la rugiada irrora il prato, o dove la mano operosa dell’uomo, nutrendo il seme, ne attende la sua esplosione; e ancora là, dove una fantasmagorica fioritura culmina in un gigantesco vaso, che, padrone della scena, quale cornucopia dell’abbondanza, varia la sua offerta, trasbordando frutti succosi ed esprimendo riconoscenza all’uomo che l’ha accudito con amore.

E dall’amore, filo guida della produzione artistica di Pier Luigi Ghidini, tutto consegue. L’artista lo dice con metafore, che, inconfondibili, appaiono ora appartate, ora in prima fila. Sono piccoli o grandi cuori, che proiettano qui un’aiuola profumata, là sono preziosa teca per i tesori della natura, e ancora altrove, quale cornice leggera, contornano una visione paesaggistica.

Se trafitti dalle frecce di Cupido, i cuori sono un simbolo universale: sussurrano le gioie del talamo e svelano il mistero della vita. E noi, presi d’amore, quali trottole aspirate nel vortice della danza, ci solleviamo leggeri ed esultiamo con l’artista per i doni della terra. E ancora, con lui, come aquila, voliamo per conquistare alte vette, simbolo di rettitudine morale, e, da lassù, ammiriamo le bellezze del Creato con il cuore gonfio di soddisfazione, per contribuire a mantenerle.

Nell’azzurro squillante del cielo, raramente interrotto da affusolate e garbate nuvolette bianche, che non possono presagire burrasca, gli astri dominano incontrastati. Suggeriscono quiete e serenità. Concorrono a mostrare la sensibilità dell’artista, sempre affascinato dall’armonia della natura, che riserva infinite e inesauribili risorse.

Il sole, per la gradualità dei toni, che dal bianco, attraverso il giallo, divampa nel rosso, rimanda alle stagioni e ai raccolti. La luna, spesso impressionata a falci degradanti, intenerisce il cuore e rinnova stupore e meraviglia. Nell’alternarsi delle sue fasi crescono le piante, si gonfiano le acque, si alternano gli umori degli esseri umani, che a lei si rivolgono per comunicare emozioni e decidere operazioni.

L’artista, quando con il suo reiterante filo rosso e bianco allaccia la luna ad elementi del paesaggio naturale o a oggetti inseriti negli ambienti modificati, alla sua forza generatrice e misteriosa, alla sua luce magnetica, che aspira e fa crescere il seme, fa riferimento; nel contempo lascia intuire il profondo significato del saettante filo, che è metafora di forza. Si trascina, si arrotola su se stesso, avvolge, si distende, s’innalza e s’interra, per poi emergere come d’incanto e ricominciare il suo percorso fantasioso e sorprendente, che non ha fine.

Quel filo rosso e bianco è la linfa, che nutre ogni elemento della terra, è la natura che si risveglia e germoglia, è la speranza di vita, che alberga in tutti gli esseri viventi, che solo per il loro esistere assolvono una funzione, è l’uomo che opera con considerazione e coglie i frutti del suo lavoro in un ciclo incessante di corsi e ricorsi. E quando l’uomo appare nel quadro e domina o, quale sipario che si apre svela la scena per invitare allo spettacolo della natura, ha coscienza del suo ruolo determinante e della responsabilità dei suoi interventi.

Nella produzione di Pier Luigi Ghidini ci sono ancora immagini simbolo, che riportano all’infanzia, ai giochi all’aperto, ai posticipati momenti del rientro. La libertà attiva e creativa del bambino, che indaga la natura e la vive, rifugge dal chiuso delle pareti. La pittura dell’uomo adulto, che rivive la situazione e ricorda gli entusiasmi infaticabili e le restrizioni imposte, trova espressione in quelle grandi finestre aperte sulle facciate delle case, che mostrano astri, cielo, natura, e tutta la smania di chi, crescendo ed esplorando, sente attrazione ed interesse per gli alberi, i fiori, i frutti, i prati, gli animali compagni di gioco, o guardati con timore a distanza.

Quando Pier Luigi Ghidini seziona l’opera, e accosta molteplici scene ricomposte come in puzzle, indugia sui ricordi di una vita. Sono ricordi legati alla natura e alla sua trasformazione, immagini riaffiorate alla memoria e rese in un magico mosaico, che, rasentando il sogno e andando oltre il reale, proclamano la creativit. artistica.

Nella libera interpretazione ritornano le metafore. Le architetture pittoriche, quali piramidi, tendono a svettare verso l’alto e a sfondare in orizzontale la prospettiva: nell’elevazione c’è il richiamo al valore del rispetto, nella dilatazione c’è l’affettuoso abbraccio di ciò che l’occhio percepisce o intuisce. I toni pastello, sfumati sui muri esterni delle case, fanno affiorare sentimenti delicati: sono lusinghe di affetti e dolcezze domestiche, che le piccole finestre con inferriate proteggono.

Nelle opere di Pier Luigi Ghidini non c’è mai tensione. Anche le ciminiere innalzano esili pennacchi di fumo bianco, che si dissolvono presto in quei cieli tersi, dove è bello sostare. È rassicurante concordare con l’artista che la natura, in forza dell’amore per cui è stata creata e grazie alla cura degli uomini, si rinnova e, puntualmente, rinasce per donare. È un messaggio di fede, che trova riscontro nel filo rosso e bianco, firma “artistica” di Pier Luigi Ghidini. Questo filo, in ultima analisi, è corrispondenza di “amorosi sensi”, è dialogo complice, che unisce l’essere umano al suo habitat, in funzione di benessere reciproco.

A conclusione della presentazione, ci piace complimentarci con Pier Luigi Ghidini per la sua originale espressione artistica, di cui diffondiamo la comunicazione per coralmente condividerne la valenza.

Prof.ssa Marta Mai

Tra aperture surreali e quotidianità: il mondo simbolico di Pier Luigi Ghidini

1. Ci sono “attenzioni” che ci aiutano a definire gli ambiti poetici di ogni artista; e sovente, queste attenzioni linguistiche appaiono per accenni, a volte in componenti anche marginali dell’opera, in cui i particolari divengono spie o cartine di tornasole di alcune scelte di fondo. E per Pier Luigi Ghidini, le scelte di fondo sono sostanzialmente ancorabili al bisogno figurativo, evocativo, al rinvio alla memoria, alla volontà di trasfigurare la realtà quotidiana cui sembra contrapporsi, fin quasi ad avere la prevalenza, il bisogno opposto di provenienza onirica di dar voce alla fuga, di aprire un varco all’immaginazione, nel dare aperture all’itinerario espressivo. E accanto a tutto questo, il bisogno di rigore, il bisogno di una costante riquadratura, ai limiti quasi della geometria, per uscire dal magma di colori succosi, di pennellate dense, che gli derivano dalla tradizione, dall’aver condiviso, per tutti gli anni sessanta, una pittura che non si discostava dalla figurazione dal vero di stampo tradizionale, costruita da subito con una semplificazione iconografica che appare figlia ed erede della narrazione post bellica.

I pochi oli conservati nella “privata” collezione dell’artista di quel lungo e importante apprendistato, piccoli oli su tavola datati 1970, documentano un’adesione alle tensioni materiche che avevano animato l’intero secondo dopoguerra, un’attenzione alla verità del narrato e al bisogno di arricchirlo e renderlo personale attraverso il colore che si sfalda, ai limiti dell’informale, un’attenzione al primo Morlotti delle rive dell’Adda, a certi contrasti cromatici tra forme urbane e paesaggio che in terra bresciana trovavano voce in non pochi autori.

Poi, a metà degli anni settanta, lo scarto, il salto di qualità che lo avvio verso quello che diverrà la scelta stilistica. È probabilmente la conoscenza di autori e opere che transitano nella sua galleria di riferimento, la storica “San Michele” di via Gramsci dove espone negli anni settanta, a portare nella sua pittura le suggestioni di autori come Biasi, Viviani, Baj, ma anche le tracce di una figurazione che risente tanto dell’espressionismo storico, quanto delle declinazioni recenti che intrecciano evocazione e immaginazione. La scansione narrativa appare costruita su una geometrizzazione che risente degli echi del dopoguerra, ma personale appare il rapporto tra figure e sfondo. Compaiono allora quelle “attenzioni” di cui abbiamo scritto in apertura, che sono il carattere nuovo della sua ricerca, l’apertura ad un universo surreale che convive con il bisogno di realtà: il paesaggio che si disegna dentro la mela, e prosegue quello descritto in esterno, l’aquila imprigionata in una borsetta trasparente di puri fili intrecciati, configurazioni che creano una realtà tra invenzione e sguardo, attraverso cui Ghidini tende a definire la sua visione poetica. Attento e preciso, elabora alcune figure, come la cordicella biancorossa che diviene la sua firma; elabora soprattutto una tipologia di relazione, tra primo piano e sfondo, che ha il sapore di una rivisitazione raffigurativa di natura teatrale.

Dagli anni ottanta si è liberato dagli ultimi schemi espressivi di derivazione geometrica; il pittore si sente libero di affrontare con i ritmi della fantasia i giochi dell’immagine. Rimane lo sfondo delineato sui ritmi dei quartieri urbani, rimangono le sovrapposizioni e le frantumazioni nell’organizzazione dello spazio, che viene sempre più a delinearsi come una costruzione per frammenti; come se la trasposizione poetica potesse vivere solo attraverso accostamenti improvvisi di figure e bagliori.

La pennellata si è fatta sapiente; l’artista oscilla tra momenti di una pittura colta, senza sbavature, a momenti in cui la stesura pittorica sembra farsi di nuovo carico della materia, e la pennellata trasferisce sulla tela, ad un tempo, grumi cromatici ed emozioni. L’evoluzione e l’uso diverso di due forme è alternanza oculata; quando l’iconografia ha bisogno di una differente e più personale tensione emotiva, scatta la scelta materia. La pittura di Ghidini non è solo un fatto stilistico; muta lo stile, mutano le procedure, muta il tono complessivo della rappresentazione, con il crescere della libertà espressiva, in cui la componente fantastica viene sempre più ad assumere un ruolo simbolico: sogni, viaggi della mente, incontri, aperture.

2. La mostra che presentiamo costituisce una sorta di piccola antologica dell’ultimo decennio produttivo del pittore di Cellatica. Come per tutti coloro che giungono alla pittura per un talento naturale e una notevole volontà individuale, la scelta poetica arriva dopo anni di sperimentazioni; sono ormai lontane le uscite e le sedute con Giuseppe Mozzoni, lontano il bisogno di provare, riprovare e provarsi, la necessità di saggiare esperienze nuove, mantenendo i contatti continui con i lavori già terminati. La maturità si manifesta con rinnovate possibilità di pittura, negli anni di passaggio tra l’ottanta e il novanta. Si condensano e si riversano sulla tela i segni del suo lungo percorso; ma la continuità operativa, il maggior tempo di riflessione, tutto concorre a mutare, accelerare si stava per scrivere, la dimensione poetica della sua iconografia. Che sembra voler sintetizzare tutta la storia del pittore, per rivolgerla in direzione ancor più fantastica, surreale, si è scritto nel titolo, e non casualmente, tra i riferimenti colti della sua pittura si sono intravisti autori come Baj o Viviani.

Alcuni elementi narrativi diventano il volano di questo suo nuovo modello espressivo, in cui Ghidini mantiene e conserva, firma oltre la firma, la cordicella biancorossa che ha segnato tutta la sua storia iconografica. Diviene dominante la presenza del vaso di fiori, cui si affianca il paese, l’adagiarsi compatto e rinserrato di un angolo abitato, in cui le case sembrano assumere il valore evidenziante dell’essere nel mondo dell’autore; case e animali sovente collocati in un contesto che ha il sapore sottile dei colli della Franciacorta, costituiscono l’altra faccia dell’uomo che Ghidini rappresenta solo per frammenti, quando non addirittura come manichino. Si direbbe che Ghidini non voglia parlare dell’uomo e si accontenti di parlare delle cose che sono parte dell’uomo ed entrano nella storia e nelle fantasie che racconta perché dell’uomo costituiscono la proiezione.

La scena tende sempre più a svuotarsi; con il passare degli anni rallentano le immagini e aumenta il peso delle lisce campiture di colori solari; come se il pieno fosse costituito solo dalle case affastellate, aggrappate le une alle altre, dai colori vivaci a denotare un’interiore vitalità; per contro, i fiori vengono sempre più assumendo un ruolo simbolico, mutano nei colori e sovente nelle forme, si declinano sulla tela con figure a cuore, quasi a documentare che il viaggio dell’occhio, il viaggio della pittura è sempre anche un viaggio dell’anima; nella maggior maturità e sicurezza acquisite, Ghidini non esita a scrivere parole sulle case dei suoi paesi, ad utilizzare il segno grafico per aggiungere simboli alla complessa simbologia narrativa che pone in campo. Tutto il mondo fuori di sé contribuisce a costruire quella proiezione in cui sembrano riversarsi le sue tensioni artistiche.

L’opera tende a scomporsi in più immagini, per cui la raffigurazione si trasforma in una sorta di quinta teatrale, in un fondale di scena che suggerisce contemporaneamente indicazioni diverse. Non è un quadro nel quadro, ma la magia di un racconto continuo, che vive solo sulla spinta e sulla forza dell’immaginazione; sono i paesaggi urbani, dove alberi crescono sui tetti, sono paesaggi che indicano percorsi im-possibili, scale collocate là dove non dovrebbero essere, ma senza insistere più di tanto; tanto naturali nella loro irrealtà, che ci sembrano necessariamente così. L’opera perde la fissità statica della raffigurazione; ogni cosa è dove la vediamo, ma potrebbe anche essere collocata altrove. Sono riquadri di borghi urbani che sconfinano in campi aperti, sono ciminiere fumanti in luoghi in cui non dovrebbero essere, alberi smisurati che crescono più alti della case e fiori che sembrano appartenere ad un paese che non c’è.

È forse l’isola della fantasia quella che cerca Ghidini; cerca i cespugli, le case, i soli (o le lune) in un cielo che non è mai rannuvolato; al massimo presenta nubi, calde di bianchi luminosi come lune affusolate. Come nelle iconografie di Magritte, anche in Ghidini accostamenti che ci scompensano e ci  fanno sobbalzare, cieli notturni che chiudono paesaggi diurni e solari, monti che sembrano uscire dalle case, per completare lo sfondo scenico di una piazza, che una divisoria netta ha trasformato in mare lontano.

Accostamenti. Vertigini. Visioni.

Il mondo in cui Ghidini ci conduce è un universo parallelo, in cui il suo volto dialoga con quello di Van Gogh, in cui la realtà di un paese che potrebbe essere il suo borgo, dialoga con gli spazi di una realtà che sembra allontanarci, passo dopo passo, dal quotidiano. La quotidianità c’è nelle cose; sovrastata da un’immaginazione che non vuole raccontarci quel che possediamo già, ma aprirci una finestra su un mondo possibile. Quello stesso che si muove dietro i suoi vasi, come se da una finestra Ghidini potesse leggere un mondo amato. Per questo i suoi fiori sono riflessioni sulla vita, trottole impazzite o paracaduti, aculei pungenti o coni aperti, che hanno l’immagine dei fiori carnivori che catturano insetti.  Dietro la pittura, dietro lo smalto dei colori gioiosi, c’è sempre una qualche domanda che ci riporta a casa; la quotidianità è nelle riflessioni.

La recente produzione condensa una vita di scelte progressive; Ghidini utilizza i colori con sicurezza, così come impagina, con libertà e certezze, il suo mondo; mondo che frantuma in riquadri, per rendere e unificare la complessità del reale, su cui innesta i frutti dell’immaginazione. Anche la pittura si è adattata al sogno, piena di suggestioni e di riferimenti colti. Va a mano libera (a mente libera) l’artista bresciano, con i suoi simboli racchiusi da pennellate piene di colore e tuttavia stese e pulite come un’immagine ritagliata. Non servono sbavature per portare i frutti della mente, trascrivere sulla tela ad un tempo sogni e memorie, mescolati assieme.

Perché ogni riflessione poetica, dopo averci condotto per mondi irreali ci riconduce, con qualche piccolo suggerimento, alla banalità quotidiana; e riconosciamo le case, le ciminiere, l’albero arrotondato dall’abile mano del giardiniere, i simboli sentimentali di un paesaggio che non compare in una sfera di vetro, ma in una forma a cuore a ricordarci le nostre fragilità.

Mauro Corradini

 

Pier Luigi Ghidini

Bresciano del 1944, Pier Luigi Ghidini vive da anni in Franciacorta, ma lo splendido paesaggio che circonda il suo studio non sembra averlo apparentemente influenzato. In realtà così non è: nelle sue singolari visioni surreali trapela un forte senso “ecologista” e il concetto di Natura risulta in lui preponderante. Lasciando sedimentare le fasi di un’attività quasi quarantennale, che dalle origini postimpressioniste è passata attraverso esperienze “metafisiche”, neo-cubiste e surrealiste, nell’ultimo triennio Ghidini è approdato ad un’originale maniera in cui convivono questi stilemi, ma come “prosciugati” e reinterpretati da una sintesi estrema. Anzitutto ciò avviene grazie ai compositi mezzi tecnici, che alternano gli ormai tradizionali colori acrilici (su tela e su tavola) con una sorta di affresco, realizzato con sabbie e collanti che non si alterano, assieme ad una preparazione con gesso, la quale suggerisce fortemente l’impressione di un muro scrostato.

Imprevedibile, inquieto, perennemente insoddisfatto, Ghidini costruisce il suo mondo estetico (e il suo messaggio etico) usando una serie di elementi iconografici peculiari, che diventano riconoscibilissimi simboli. Anzitutto, la “permutazione”, ovvero il filo telefonico bicolore, che appare come una sorta di perturbante elemento tecnologico, una piccola minaccia che disturba l’equilibrio secolare della Natura. Quindi la pera verde, ossia acerba, in cui la circostanza che il frutto non sia ancora maturato fa sperare che esso possa salvarsi dall’inquinamento. All’interno di grandi pere, viste come emblema delle perfette forme naturali, quasi come l’uovo di pierfranceschiana memoria, s’intravvedono lillipuziani paesaggi racchiusi entro un contorno, una sagoma periforme. E, poi, fiori dai gambi “discendenti” (papaveri, bucaneve, anemoni, girasoli), marmitte fumanti, farfalle e pesci stilizzati in modo primitivistico, quasi come nelle pitture rupestri. Infine, dovunque compare l’occhio del pittore: una sineddoche che diviene ironico autoritratto.

Per delineare il suo singolare mondo espressivo, un po’ botanica dell’immaginazione, un po’ S.O.S. ecologico, Ghidini si serve di una tavolozza impeccabilmente giocata su toni bleu, verdi, gialli, grigi, di un segno “cloisonnè” e di una memoria colta, che evoca Man Ray, Picasso, Corneille, Buffet, Kandinsky, Klee, Mirò, Alberto Martini. Tutto questo assieme al ricordo di gite al mare, sui colli lombardi, al lago di Garda, sulle montagne del Trentino: paesaggi sospesi, ritagliati, reimpostati prospetticamente e sovrastati talora da un poetico quanto bizzarro “bestiario”. Ghidini li percorre con i piedi tronchi (altro simbolo ricorrente): viaggi onirici che diventano “possibili” solo per chi osserva con attenzione i suoi intriganti dipinti.

Lucio Scardino

Ferrara, dicembre 2000

ARIANNA  SARTORI

ARTE & OBJECT DESIGN

Via Cappello, 17 – 46100 MANTOVA – Tel. 0376.324260 - info@sartoriarianna.191.it

 PIER LUIGI GHIDINI “La metafora dell’essere”

 18 – 30 maggio 2013

Nome della Galleria: Galleria “Arianna Sartori”

Indirizzo: Mantova – via Cappello, 17 – tel. 0376.324260

Titolo della mostra: Pier Luigi Ghidini “La metafora dell’essere”

Mostra a cura di: Arianna Sartori

Presentazione di: Prof.ssa Marta Mai

Date: dal 18 al 30 maggio 2013

Inaugurazione: Sabato 18 maggio, ore 17.30

Orario di apertura: 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi

FRANCO SCAGLIETTI, Momenti

Un incontro che può trasformarsi in una scoperta. È accaduto a me che conosco Franco Scaglietti da una vita, può capitare a chiunque, si avvicini alla sua pittura senza ubbie intellettualistiche, e senza pregiudizi per le cose semplici, naturali, e magari già viste. La mia frequentazione con Franco Scaglietti risale agli anni giovanili, quando lui frequentava l’Accademia Belle Arti, e io mi nutrivo di cultura con i libri della BUR. In quel periodo – gli anni della nostra formazione appunto – Franco ebbe a conoscere alcuni maestri Modenesi: Pagliani, Bertoli, Felloni, Semprebon, che lo iniziarono alla pittura in tutte le tecniche e l’uso dei colori e altri materiali; mi confidò: “tutto quello che so in fatto di pittura l’ho imparato da loro copiando e memorizzando i loro segreti”.

Per molti anni le nostre strade presero direzioni diverse e ci perdemmo di vista, i nostri incontri erano occasionali, quando ci si incontrava. Seppi da comuni amici che Franco aveva abbandonato la tavolozza dei colori. Il ritorno alla pittura avviene negli anni Ottanta in coincidenza alla grave malattia della moglie, e dipingere diventa il mezzo per non lasciarsi travolgere dal dispiacere di una fine annunciata.

La solitudine lo riavvicina all’antico interesse per la pittura, si concentra sui soggetti tradizionali dell’arte figurativa, il paesaggio, la natura morta, la figura, con qualche sconfinamento nell’informale. La personalità di Franco Scaglietti si è sviluppata in modo autonomo, mai condizionata dalle correnti moderne, libero nel suo realizzarsi nelle forme nei modi e tecniche a lui più congeniali. Da molti anni trasferito e residente in provincia di Bergamo, da Modenese DOC, ha trovato nuove sinergie che esprime con l’uso di colori ricchi e vitali. L’opera di Franco Scaglietti chiaramente leggibile per nitidezza e sapidità di colore, ci propone composizioni rappresentative della sua esperienza di lavoro e di vita, rinnovandosi in una costante ricerca del nuovo e del bello. Questa continua voglia del nuovo stimola Franco Scaglietti verso una pittura astratta e il colore diventa il mezzo di “comunicazione visuale” del nuovo linguaggio pittorico. Artisti come Mondrian, Klee, Duchamp, diventano un riferimento negli infiniti aspetti della realtà inferiore e della visione esteriore per culminare nei “dripping” convulsivi dell’universo di J. Pollock. Il gesto pittorico di Franco Scaglietti diventa un fatto estetico, legato alla sapiente distribuzione del colore, e alla ricerca di un paesaggio figurativo nascosto. Il risultato ottenuto in queste ultime opere ci racconta l’infinita capacità che ogni espressione artistica è la manifestazione del senso del bello che alberga in ogni cuore sensibile e il grande desiderio dell’uomo di non vedere disperse tutte le tracce del suo effimero passaggio sulla terra.

Mario B. Lugari

 Franco Scaglietti e i suoi paesaggi

La personalità di Franco Scaglietti si è sviluppata in modo autonomo, non condizionato dalle correnti moderne. Libero nel suo realizzarsi nelle forme che gli sono più congeniali e che sempre ci comunicano la sensibilità di un paesaggista che rispetta la natura e cerca di ritrasporla sulla tela, intatta e rigogliosa, come è stata creata.

Franco Scaglietti, modenese d’hoc, ma da molto tempo residente in  provincia di Bergamo per lavoro, spesso ha visitato le prealpi bergamasche e le splendide località di villeggiatura estiva ed invernale come Selvino e Schilpario ed ha afferrato queste visioni ammirabili, per riproporle sulla tela con la più aderenza possibile al reale, per sentirle “realtà viva”.

Una pittura naturalista, quindi, che non accetta alcun maestro se non la natura: paesaggi e rappresentazioni floreali che sono le sue cose più sentite, un tessuto d’indagine e di esplorazione dei luoghi a lui cari che sono fusi con la terra e la natura dove egli vive. Scaglietti non resiste al bisogno di fissare i suoi impulsi interiori in immagini immediatamente percettive, dove la sensazione visiva tende ad idealizzarsi in visione esistenziale.

L’opera di Scaglietti, chiaramente leggibile per nitidezza di costruzione e per sapidità di colore, ci propone composizioni paesaggistiche, che sono il compendio delle sue esperienze di lavoro e di vita e l’espressione del suo impegno pittorico ed umano.

Vladka

ARIANNA  SARTORI

ARTE & OBJECT DESIGN

Via Ippolito Nievo, 10 – 46100 MANTOVA – Tel. 0376.324260 - info@sartoriarianna.191.it

 FRANCO SCAGLIETTI

Momenti

 dall’ 11 al 23 maggio 2013

 Nome della Galleria: Galleria “Arianna Sartori”

Indirizzo: Mantova – Via Ippolito Nievo 10 – tel. 0376.324260

Mostra: Franco Scaglietti. “Momenti”

Date: dall’11 al 23 maggio 2013

Inaugurazione: Sabato 11 maggio, ore 17.30

Orario di apertura: 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi

 Dall’11 al 23 maggio 2013 la Galleria “Arianna Sartori” di Mantova in via Ippolito Nievo 10, ospita la personale dell’artista Franco Scaglietti intitolata “Momenti”.

Alla vernice che si terrà Sabato 11 maggio, alle ore 17.30, sarà presente l’artista.

 

DINO VILLANI, Xilografie

La mostra “Dino Villani, Xilografie”, a cura di Arianna Sartori, promossa dal Centro Studi Sartori per la Grafica di Mantova, è realizzata grazie alla collaborazione del Comune di Curtatone e della Pro Loco di Curtatone

A poco più di vent’anni dalla scomparsa, una trentina di xilografie realizzate da Dino Villani (1898 – 1989) a partire dagli anni Trenta, sono dedicate al fiume Po e alla vita contadina e paesana della Bassa Padana, opere poco conosciute ma che a loro tempo avevano avuto riconoscimenti autorevoli da parte della critica più accorta che si occupava di incisione contemporanea (Luigi Servolini, Cesare Ratta), che furono tenute a battesimo, per la loro prima e parziale edizione nel 1945, da Cesare Zavattini. La mostra “Dino Villani. Xilografie” al Foro Boario di Grazie di Curtatone (MN) a cura di Arianna Sartori, sarà inaugurata domenica 5 maggio alle ore 11.30.

 

Il nome di Villani, abitualmente, riporta alla memoria la sua più nota attività di pubblicitario e di promotore culturale: basti ricordare, fra le sue numerosissime e geniali iniziative, l’ideazione del concorso di Miss Italia, del Premio Notte di Natale e del Premio di pittura “L’arte e il lavoro” di Suzzara (MN). Accanto a questo, però, Villani ha sempre coltivato la xilografia, dedicando una cura amorevole al racconto della civiltà dei campi della sua terra natale, di cui offre una meditata testimonianza poetica.

La mostra, che propone una selezione di opere della Raccolta delle Stampe di Adalberto Sartori, consente di tornare a porre attenzione su questo lato meno noto del lavoro di Villani, ricordando come egli sia stato una voce significativa, a cavallo fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, nel dibattito sulla xilografia italiana moderna.

 …DINO VILLANI…

Nel 2004 gli eredi di Dino Villani, donavano ufficialmente l’intero corpo delle matrici xilografiche e calcografiche che erano ancora in loro possesso ad Adalberto Sartori; affidavano a lui, la conservazione e la valorizzazione dell’importante e consistente opera grafica e, con la donazione, affidavano al Centro Studi Sartori un compito impegnativo e pieno di incognite; Adalberto, Arianna, ed io eravamo felici della grande fiducia dimostrataci, persuasi del nostro serio e costante impegno per confermare quelle che erano state le premesse alla Donazione.

Il nostro interesse per l’incisione antica e moderna, nato già trentacinque anni fa con la creazione della “Mostra del Libro e della Stampa Antichi”, organizzata per la prima volta in Italia ed ancora esistente, è continuato con il lungo lavoro che stiamo portando avanti da più di vent’anni quando abbiamo fondato il nostro mensile d’arte ARCHIVIO.

Da allora abbiamo compilato schede biografiche dedicate ai migliori incisori italiani; edito una “Agenda Sartori Per-Inciso”; collaborato alla fondazione del Museo della Grafica del Comune di Ostiglia; ideato la collana “Incisori italiani contemporanei”, che oggi comprende circa venti monografie dedicate agli incisori contemporanei; la collana “Temi incisi” che raccoglie incisioni di autori diversi legati tutte da un unico tema; collaborato con diversi Comuni (Tenno, Montichiari, Cassina de Pecchi, Sommacampagna, Ostiglia, Mantova, Quistello, Sant Agostino) allestendo mostre di grafica, oppure come prestatori di opere.

Importanti sono state la ricerca, la raccolta e la catalogazione di tutta l’opera incisa di Antonio Carbonati, attivo nella prima metà del secolo scorso, e curata la relativa mostra presso il Palazzo della Ragione di Mantova; scritto ed edito il primo volume di “Incisori moderni e contemporanei” e, grazie alla personale Raccolta delle Stampe di Adalberto Sartori siamo stati in grado di dedicare cicli di mostre all’Impresa dei Mille in “Garibaldi nelle due Sicilie”, ai “Trionfi di Sigismondo”, al Rubens, ad Adamo Scultori con l’opera “Pitture dipinte nella volta della Cappella Sistina nel Vaticano e, per la nuova collana “Album e cartelle”, all’“Eneide illustrata da Bartolomeo Pinelli” con la realizzazione di un volume dedicato al Pinelli e della relativa mostra presso la Ex Chiesa Madonna della Vittoria.

Questo è il quinto appuntamento espositivo dedicato alla grafica di Villani, realizzato a cura del Centro Studi Sartori, infatti in occasione del centenario della nascita, nel 2008, abbiamo allestito una prima mostra personale presso il Mulino Dugnani di Cassina de Pecchi, affiancata da un catalogo con riprodotte tutte le opere esposte; quindi un nuovo appuntamento con una mostra a Mantova presso la sede della Banca Fideuram, nel 2010 alla Fondazione Corrente di Milano e al Museo della Galleria del Premio Suzzara nel 2011.

L’impegno preso ci portava alla decisione di eseguire le tirature di tutte le centonovantanove matrici di Villani entrate in nostro possesso; per prima cosa si è provveduto al recupero con prudenti puliture dei rami e degli zinchi. Le relative tirature sono state fissate da tre ad un massimo di dieci esemplari per ogni matrice; mentre per le xilografie le tirature effettuate sono state di venticinque copie per ogni singola matrice. Per i legni più rovinati a causa del tempo, alcuni sono solcati da spaccature, altri hanno subito l’opera dei tarli, altri si sono “imbarcati”, per tutti questi si è provveduto ad una tiratura di soli cinque esemplari ciascuno, a scopo di pura documentazione.

Per la certificazione abbiamo punzonato a secco ogni singolo foglio, utilizzando il nostro simbolo (un piccolo scudo con il Leone rampante su una S), quindi a titolarle ed a numerarle.

Oggi, tutte le 126 matrici xilografiche (142 immagini) e le 73 calcografie tra acqueforti su rame e puntesecche su zinco sono state tirate, punzonate, titolate e numerate.

Dino Villani, pubblicista per antonomasia, inventore in Italia della comunicazione intergrata, precursore del marketing contemporaneo, autore di volumi, creatore delle più rinomate manifestazioni pubblicitarie, (il simbolo M per la nota industria dolciaria Motta, la Colomba Pasquale, la Festa di San Valentino, la Mille lire per un sorriso, poi diventata Miss Italia, il Piatto del Buon Ricordo, ecc.) e nel mondo dell’arte, curatore di mostre, pittore e incisore egli stesso (inserito dal Ratta, nel 1929, tra gli xilografi italiani), critico d’arte di fama nazionale, creatore del famoso Premio Suzzara, queste e altre iniziative lo evidenziano come uno straordinario personaggio eclettico, unico nel suo genere.

Villani, incisore, con il passare degli anni acquisisce uno stile personale, caratterizzato da un segno fortemente chiaroscurale, capace di raggiungere livelli di vera poesia.

Le sue incisioni, xilografie o acqueforti che siano, lo vedono raffigurare prevalentemente l’infinito paesaggio della pianura padana, la campagna, le piazze, i paesi, le borgate, colti nelle atmosfere delle varie stagioni dell’anno, il Po, con i suoi ponti di barche, i mulini, le golene, e le impressionanti e spaventose piene; le raffigurazioni degli antichi mestieri, quelli dove l’uomo operava in prima persona, solo con la propria fatica, in quello stretto rapporto con la natura e con il mondo animale, i fedeli buoi, il cane addormentato, che rendevano la vita molto faticosa, sì, ma dolcissima, sincera ed autentica, di una bellezza struggente, fatta di sudore e di rapporti veri.

Guardare le tavole di Villani, oggi, è come guardare e riscoprire il nostro passato, infatti, tutti siamo legati alla terra, abbiamo avuto un nonno, uno zio che lavorava la terra o viveva in campagna e, se in noi possono suscitare affettuosi ricordi d’infanzia, per i giovani si pongono quali fonti di conoscenza straordinari: come ci si vestiva? il vecchio tabarro! Ma che cosa è un tabarro, quanti sono i ragazzi che lo conoscono? E i ponti di barche, oggi vere rarità; ricordo che da bambina, abitavo a Sermide dove il Po è molto largo, c’era un ponte di barche, per accedervi bisognava pagare il pedaggio (una lira le biciclette), i carri trainati dai buoi, le motociclette, le automobili ed i camion (i più grandi d’allora erano come i nostri attuali autocarri), dovevano percorrerlo a bassissima velocità; durante la percorrenza, le assi che poggiavano sui barconi di cemento, stridevano fortemente, il rumore provocato che rimbombava nell’acqua era molto forte, ma su tutte le cose e le persone regnava un pesante silenzio perché si era sul Po, e il Po faceva sentire il suo potere, la sua forza e incuteva sempre timore.

I mulini sul Po, dove si producevano le farine, funzionavano per mezzo delle poderose pale di legno che giravano, grazie alla forte corrente dell’acqua e mettevano a loro volta in funzione gli ingranaggi della macina; in verità io non ne ho mai visti, li conosco perché li ho visti nel 1971, alla televisione, nel famoso sceneggiato televisivo con la regia di Sandro Bolchi con Valeria Moriconi, Ottavia Piccolo e Raul Grassilli, quale adattamento al famoso romanzo di Riccardo Bacchelli, che già Alberto Lattuada, aveva diretto nel film girato nel 1949.

Ed ancora gli interni delle stalle, illuminate dalle fioche luci di piccole lanterne a petrolio, dove i nostri nonni trascorrevano parte della loro vita, sia durante l’estate per le cure che giornalmente attendevano alle poche bestie in loro possesso, ed anche e soprattutto d’inverno quando il calore della stalla riuniva quanti lavoravano nelle corti, per scaldarsi, per stare insieme e raccontare…, allora noi bambini ascoltavamo incantati, bevevamo un po’ di latte appena munto, così buono, tiepido, dolce. Ricordi d’infanzia…

Altre incisioni eseguite a puntasecca, più intime, per lo più dedicate agli affetti famigliari, il figlio Stelio, la madre, Berta, trovano nei segni morbidi, sicuri, che accompagnavano la silhouette della figura in una soluzione ottimale.

Il linguaggio dell’acquaforte non è particolarmente approfondito, i segni hanno spesso lo stesso peso, trasferiti sulla lastra con un’unica morsura; le incisioni sono affascinanti per i soggetti riportati più che per la tecnica incisoria, che trova in Villani un potente interprete. Curiosa la sua ricerca di un simbolo che potesse completare la firma posta sulle matrici: la sigla del nome con il cognome viene affiancata a volte dalla raffigurazione di un paio di pantaloni con un fallo uscente, oppure uno scudetto a forma di vanga V. che contiene la D., altre volte frasi o date precise, come se Villani avesse avuto in animo di comunicare il proprio stato d’animo.

Maria Gabriella Savoia

FORO BOARIO Grazie di Curtatone (MN) DINO VILLANI

dal 5 al 12 Maggio 2013

 

Luogo: Foro Boario

Indirizzo: Grazie di Curtatone (MN) – 
Tel. 0376.349122 - proloco.curtatone@gmail.com

Titolo della mostra: Dino Villani. Xilografie

Mostra a cura di: Arianna Sartori - info@sartoriarianna.191.it

Date: dal 5 al 12 maggio 2013

Inaugurazione: Domenica 5 maggio, ore 11.30 – seguirà cocktail